“Difesa, salvaguardia, protezione di un diritto o di un bene materiale o morale, e del loro mantenimento e regolare esercizio e godimento (da parte non solo di un individuo ma anche di una collettività)”. E’ questa solo una delle definizioni che la Treccani dà del sostantivo ‘tutela’. Una parola che porta dentro di sé un mondo, quello stesso mondo nel quale, tuttavia, per le forze di polizia sembra a volte non esserci spazio. Sia, a volte, nelle aule di tribunale che, spesso, agli occhi dell’opinione pubblica. E accade così che un proiettile sparato, un arresto apparentemente ‘violento’, uno scontro con i manifestanti, situazioni di grande difficoltà, dove sbagliare, in quell’attimo, può significare perdere la propria vita, rendano in un attimo l’appartenente alle forze dell’ordine un carnefice, quando invece dovrebbe essere considerato vittima. I recenti casi accaduti a Roma prima ed in Germania poi sono stati trattati in maniera diversa pur essendo molto simili. In entrambe le circostanze un ‘esagitato’ è stato reso inoffensivo dagli agenti in strada. Perché due pesi e due misure? Perché la divisa deve essere spesso bistrattata e mai rispettata? E perché addirittura deve essere l’unica a subire conseguenze ingiuste? Non ci si può fermare alle apparenze, non si può consentire un attacco spesso feroce e senza alcun fondamento nei confronti di chi indossa una divisa e sa di rischiare la vita ogni giorno. O meglio, ogni ora, ogni minuto di lavoro. Ecco che la ‘tutela’ deve essere il primo obiettivo, come salvaguardia di una posizione delicata che è quella delle forze dell’ordine così come degli agenti di vigilanza privata. Perché è troppo facile puntare il dito, molto più difficile fare una scelta, in quell’attimo in cui si ha la consapevolezza di non poter più tornare indietro.
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